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Le trasformazioni dell'uomo di Lewis Mumford, pubblicato nel 1956 e qui per la prima volta tradotto in italiano, occupa un posto intermedio tra Tecnica e cultura, uscito nel 1934, in cui Mumford prendeva ancora in considerazione l'ipotesi che lo sviluppo delle macchine potesse essere padroneggiato e messo al servizio di una società umana pienamente democratica, e i due volumi de Il mito della macchina, pubblicati nel 1967 e nel 1970, in cui il "pessimismo" dell'autore lo porterà a osservare come il sistema tecnologico del XX secolo abbia distrutto l'autonomia individuale, le basi della democrazia e la stessa civiltà. Per il Mumford de Le trasformazioni dell'uomo, con lo sviluppo del "Nuovo Mondo", dominato dal capitale e dalla razionalità tecnico-scientifica, il segreto dell'umanizzazione, cioè n"l'arte di educare l'uomo", comincia a venire meno. Il disastro, allo stesso tempo ecologico, sociale e soggettivo, è negli anni Cinquanta del XX secolo già così avanzato che all'orizzonte si annuncia una vera rottura antropologica. Tale rottura è, in questo libro, presentata in forma di alternativa: o l'inizio di una post-umanità in cui un "uomo poststorico" sarà asservito completamente alle macchine che ha costruito, o una nuova evoluzione verso l'unità dell'uomo tanto come specie quanto come individuo.